Ribelli d’Italia by Paolo Buchignani
autore:Paolo Buchignani [Buchignani Paolo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Marsilio
pubblicato: 2017-01-04T16:00:00+00:00
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Le origini del Sessantotto (1956-1968)
La terza «rivolta populista»
Il Sessantotto in Italia, rispetto ad altri paesi, ha rivelato, sul piano ideologico-politico, una particolare radicalità e longevità. Caratteri riconducibili, senza dubbio, alla forza e alla persistenza dell’idea-mito della rivoluzione come palingenesi e utopia millenaristica: un’idea che costituisce una chiave di lettura preziosa per la comprensione di un fenomeno importante, complesso e multiforme, tale da segnare nel profondo la nostra storia recente.
Per comprendere il «biennio rosso» 1968-69, non solo non possiamo isolarlo dal decennio che lo precede e lo prepara né da quello che lo segue e ne è a fondo segnato, ma è necessario inserirlo in un contesto cronologicamente molto più ampio, in quella cultura politica italiana massimalista e antagonista fin qui descritta nelle sue diverse declinazioni, nei secoli XIX e XX.
Si tratta di un approccio opportunamente e precocemente scelto, per esempio, da Nicola Matteucci, il quale, già nel 1970, come si è sopra accennato, individua nel movimento del Sessantotto una «insorgenza» o «rivolta populista», da mettere in relazione, per sostanziali affinità, con le due precedenti «insorgenze» populiste costituite rispettivamente dall’interventismo relativo alla Grande Guerra e dal fascismo rivoluzionario[1].
Contesti in parte diversi, diversi protagonisti, certo differenze tra fenomeni collocati a distanza di decenni (mi riferisco al terzo in rapporto ai primi due), ma, a uno sguardo lucido e spassionato, che sa andare oltre etichette e nomenclature, legati da fili robusti, manifestazioni di una stessa cultura politica e di analoghe pulsioni eversive.
Nell’età giolittiana il decollo industriale, una prima tappa della modernizzazione del Paese, l’avvio della società di massa, e, di conseguenza, il declassamento del ceto medio e in particolare delle avanguardie intellettuali, le quali, come abbiamo visto, danno vita a un sovversivismo antiborghese, antiliberale ed anti-istituzionale che sfocerà nell’interventismo e nel fascismo sansepolcrista. Nell’Italia del secondo dopoguerra, a cavallo tra anni cinquanta e sessanta, un altro passo decisivo e irreversibile verso la modernità: una vera e propria rivoluzione industriale, un «boom economico» senza precedenti, l’affermazione della società dei consumi: grandi opportunità, ma anche profondo disagio, dovuto a un cambiamento repentino e traumatico che sconvolge gli equilibri esistenti e interessa vasti strati della popolazione, comprese le nuove élites intellettuali giovanili, e, a rimorchio di esse (ciò non era avvenuto nel primo Novecento), crescenti masse di studenti che irrompono all’improvviso nella scuola e nell’università: tutti sedotti dai miti rivoluzionari della Cina maoista, del Vietnam, di Che Guevara, tutti abbeverati alle fonti di un marxismo-leninismo revisionato e ibridato sovente con i francofortesi e con un radicalismo cattolico e terzomondista.
Come cinquanta, sessant’anni prima, la trasformazione economico-sociale da un lato e la crisi del positivismo dall’altro avevano lasciato spazio a una rivolta irrazionalista e populista (il vocianesimo, il futurismo, il sindacalismo rivoluzionario) con i caratteri e le conseguenze che abbiamo visto; così ora, la nuova rivoluzione industriale, fondata sulla razionalizzazione neocapitalistica e la presenza di una cultura neopositivista, spalancano le porte a una nuova esplosione di irrazionalismo populistico e antagonistico, fortemente ideologizzato.
Torna, nei giovani sessantottini, quella visione (già evidenziata nel sovversivismo intellettuale primo novecentesco e in quello fascista)
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